Villa Poggio Reale Rufina
Ricordata in tutte le guide locali come il monumento più rappresentativo di Rufina, la Villa di Poggio Reale è altrimenti nota come Villa Pantellini, dal nome dei penultimi proprietari dell’edificio. Esempio pregevole dell’architettura tardo-rinascimentale fiorentina, la villa si caratterizza per un’armonica distribuzione dei volumi attorno al corpo centrale, articolato su quattro livelli.
La posizione strategica dell’abitazione, sita sulla sommità di un poggio, concedeva ai proprietari un vasto controllo sui loro possedimenti a valle, nonché sull’abitato sottostante.
Ricordata in tutte le guide locali come il monumento più rappresentativo di Rufina, la Villa di Poggio Reale è altrimenti nota come Villa Pantellini, dal nome dei penultimi proprietari dell’edificio. Esempio pregevole dell’architettura tardo-rinascimentale fiorentina, la villa si caratterizza per un’armonica distribuzione dei volumi attorno al corpo centrale, articolato su quattro livelli.
La posizione strategica dell’abitazione, sita sulla sommità di un poggio, concedeva ai proprietari un vasto controllo sui loro possedimenti a valle, nonché sull’abitato sottostante. Il suggestivo viale di ingresso, lungo più di trecento metri, è scandito da file di cipressi secolari. Secondo una leggenda popolare Lucifero in persona ha lasciato l’impronta di uno dei suoi zoccoli su un muro perimetrale della villa, generando da sempre grande interesse e curiosità nella popolazione.
La prima costruzione fu eseguita nel XVI secolo per volere della famiglia Mormorai, originari di Majano (Friuli-Venezia-Giulia) e appartenenti al popolo di Santa Croce a Firenze che avevano proprietà nel popolo di San Pietro a Casi. Per loro volere fu costruita una villa con funzione di fattoria. Di questa famiglia rimane memoria nello stemma scolpito in uno dei portali del salone principale al piano terreno. Essi si occuparono di costruire l’edificio, scegliendo la sommità di un poggio che dominava i loro possedimenti terrieri, distribuiti lungo la riva sinistra del torrente Rufina non lontano dalla sua confluenza nel fiume Sieve.
La suggestiva posizione sulla sommità di un rilievo è sottolineata dalla presenza di piante sempreverdi che circondano il fabbricato, in particolare i lecci.
La costruzione primitiva appariva diversa da come si osserva oggi, in quanto erano mancanti la loggetta e gran parte dei locali al piano superiore. A causa della mancanza di questi volumi, aggiunti in seguito, la facciata appariva necessariamente diversa e al livello superiore emergevano due torri simmetriche tipiche delle abitazioni fortificate convertite in fattorie. Questa ricostruzione è resa credibile, non solo dall’analogia con modelli simili contemporanei, ma anche attraverso la diversità dei conci molto in rilievo che sottolineano questo corpo di fabbrica da terra fino alla gronda, i cui elementi sono per dimensione, materiale e stato di conservazione diversi da quelli contigui e dalla diversa fattura delle cornici delle finestre del piano superiore. Come ulteriore conferma all’interno si nota la presenza di aperture che fanno supporre la realizzazione più tarda del solaio centrale del piano superiore.
La costruzione è stata realizzata senza risparmio di materiali, basti notare l’impiego della pietra forte nel cornicione massiccio, nella gronda con le mensole e le formelle finemente lavorate, nei conci angolari, nella balza, nelle cornici delle aperture, delle quali le più raffinate sono quelle del portale d’ingresso e delle due finestre inginocchiate laterali, secondo la moda Fiorentina del periodo.
Nel corso del XVII secolo la Villa fu ristrutturata dalla famiglia Berardi, erede dei Mormorai, ma forse in modo più consistente dai Liccioli che, già proprietari terrieri della zona, acquistano l’edificio sul finire del secolo. E’ credenza diffusa che il progetto del nuovo assetto della Villa sia stato disegnato da Michelangelo Buonarroti, in particolare lo schema della facciata e la doppia scala curva in pietra serena dell’ingresso, oltre alla somiglianza della gronda del tetto con alcune realizzazioni e disegni della sua scuola. Difficile e improbabile è però tentare questa attribuzione, che peraltro non trova alcun riferimento documentario ma questo non sminuisce il carattere classico di una villa di campagna cinque-seicentesca nella campagna fiorentina.
La Villa infatti si presenta come una costruzione che rispetta pienamente la tradizione architettonica della villa suburbana trovandosi in posizione elevata, con molti muraglioni degradanti, la scalinata a tenaglia, l’impianto interno col salone centrale al piano terreno, dal quale partono le scale e su cui si aprono le altre stanze. Tuttavia gli elementi architettonici sono all’insegna di un’estrema sobrietà e in completa sintonia con il luogo prescelto, appartato e lontano dalla città e rivelano la mano di un architetto esperto e consapevole dei propri mezzi espressivi.
Alcune ipotesi hanno fatto pensare all’intervento di Bernardo Buontalenti, le cui realizzazioni possono essere servite da modello a questa Villa. In realtà il Buontalenti lavorò quasi esclusivamente per la corte granducale e le sue architetture si connotano per un maggiore estro e una più spiccata fantasia che non ritroviamo in questo edificio caratterizzato da un’accentuata semplicità.
Nella relazione dell’architetto Cancellieri si ipotizza l’intervento di Gherardo Silvani, architetto fiorentino, ultimo erede della tradizione rinascimentale, che ha operato all’inizio del secolo XVII e che potrebbe aver realizzato altre opere nella zona del Comune di Rufina.
I Liccioli ordinarono ulteriori lavori di manutenzione e di ampliamento, realizzando al piano terreno l’ingresso posteriore per accedere alla terrazza panoramica realizzata a seguito delle cantine, furono riordinate le aperture e rinnovate le cornici in pietra delle finestre. La grande cantina, databile ai primi del XIX secolo, si rese necessaria dal momento che la famiglia Liccioli era molto attiva nella viticoltura. Fu realizzato sul lato destro dell’edificio una cappella (che conserva ancora una volta affrescata e alcune epigrafi in memoria della famiglia) e fu perfezionato il parco circostante. Al culmine del suo splendore, arricchita da giardini curati e da un bel parco, alla Villa erano annessi anche una fattoria e ben diciannove poderi.
Nel 1829 la famiglia Liccioli ospita all’interno della Villa il Granduca Leopoldo II di Toscana, e nel 1891 vendettero la proprietà alla signora Giuseppina Viglini, vedova del Commendatore Giuseppe Valsè Pantellini, industriale vinicolo piemontese. Da un articolo del 14 maggio 1921 del Messaggero del Mugello, la famiglia Pantellini si distinse per generose donazioni alla popolazione: “La nobile famiglia Valsè-Pantellini proprietaria della Villa di Poggio Reale alla Rufina, con atto altamente generoso e filantropico ha elargito al Comune della Rufina le seguenti cospicue somme. L. 10.000 (diecimila) per l’erezione del ponte sulla Sieve; L. 5.000 (cinquemila) per l’erezione delle case popolari; L. 450 (quattrocentocinquanta) per mandare al mare poveri bambini malati.”
Gianfranco Valsè Pantellini, nato a Rufina nel 1917, ha vissuto nella Villa fino alla sua vendita nel 1929. Diventerà in seguito uno stimato dottore con molte pubblicazioni e riconoscimenti in oncologia e una fondazione a suo nome è ancora importante punto di riferimento nell’ambiente medico.
La Villa passò nel 1929 alla famiglia dei Conti Spalletti Trivelli che per anni ha avuto la facciata della villa e il caratteristico viale di cipressi come logo dell’azienda vinicola Chianti Spalletti e Chianti Spalletti Poggio Reale. In questo periodo sono stati eseguiti solo lavori di manutenzione, più consistenti negli anni ’30, con la realizzazione a fianco della cappella di un piccolo edificio adibito a limonaia.
Durante la seconda guerra mondiale, i sotterranei e le cantine furono utilizzate come prigione di soldati prigionieri di guerra dell’esercito Alleato. Secondo un documento dello Stato Maggiore del Regio Esercito datato 12 Marzo 1943, 50 prigionieri di guerra sarebbero dovuti essere destinati a lavorare presso i vigneti e la fattoria della Villa Poggio Reale ma non ci sono conferme che sia mai stato raggiunto questo numero prima dell’8 Settembre. I prigionieri presenti furono liberati il giorno dell’Armistizio.
TESTO DI DOTT.ARC. SAMUELE MAGONIO
Mostra di strumenti per la coltivazione della vite e per la produzione e conservazione del vino, in uso tra il 1930 e il 1960. Vasta esposizione di fiaschi anche in vetro soffiato del 1700.
A Rufina il nome del Paese si confonde da almeno un secolo con quello del vino. Il suo consumo in Val di Sieve è testimoniato fin dall’età etrusca, così come il suo commercio appare documentato quando erano ancora aperti i cantieri della cupola del Brunelleschi.
La profondità storica rappresenta per il Museo, e per l’attuale produzione vitivinicola, una preziosa consapevolezza, non una rendita di posizione. L’età dell’oro del vino non si è perduta: sono al contrario ancora in corso i lavori per realizzarla pienamente con l’innovazione qualitativa molto più che con la fedeltà assoluta verso una tradizione che ha sempre saputo evolvere. Dai vitigni ai gusti, dagli strumenti alle tecniche; i modi di fare e giudicare il vino non sono mai stati gli stessi.
Da qui la scelta del Museo di farsi laboratorio, insieme, di memoria e nuove esperienze, come direttamente esprime lo spazio di allestimento: le cantine di Villa Poggio Reale e l’ Enoteca, dove i segni del passato sono esposti in stretto rapporto con la vitalità della produzione attuale. Il linguaggio scelto alterna la puntualità del documento al fascino dell’evocazione.
Il percorso di visita inizia prima del Museo, fin dal cancello, dove un viale di cipressi affiancato da vigneti, ci conduce proprio davanti alla facciata della Villa di Poggioreale. All’interno si trova il museo composto da quattro sale.
(testo Comune di Rufina)
Orari apertura dal Lunedì al Venerdì ingresso su prenotazione da effettuarsi tramite l'Ass.ne Modellismo e Storia: Sabato e Domenica 9.00 - 12.30